Archivio per la categoria Salute e corpi

la pop e noi: hey transfrocia! scaldati il ​​cuore, l’ariston brucia

ciau amix, una freek vorrebbe dirvi questa cosa, a partire dalla sua storia ed esperienza persoanale

 

lou si spoglia per capire se è invisibile davvero
o se è solamente vero che lou è un bastardo solo
si dà botte tra la gente per mostrare che è esistente
lou si sente sempre solo bastardo figlio del niente
(prozac +, angelo, 2000)
ah com’è bello il corpo transfrocio
appetibile, glamour, translucida, poca carne innestata su apparati scheletrici. sacchi di dollaroni inversamente proporzionali al peso, a seconda dell’inflazione
per molto tempo mi sono interrogata sul perchè il corpo transfrocio sia uno dei migliori esempi del trend setting capitalista almeno da cinquant’anni. questo corpo è tutt’ora campo di battaglia principe per la sperimentazione del consumo.
la nostra materialità, substrati di carnepomodoro e glitter, è da molto tempo oggetto di targetizzazione da parte del mercato, e viceversa dal mercato è costruita: chi nasce prima, la frocia che, pur produttiva capitalisticamente, ha genitali socialmente sterili ed è pronta a consumare l’ultima mise d’alta moda, o la moda, avvitata sulle sue esili spalle, essenziale ingranaggio nel completamento del mostro cyberglamour?
il corpo maschio gay, che quella cosa zozza da fuori non si vede, almeno finchè non lo dice, che non ha famiglia quindi ha soldi da spendere e tempo per se stesso, e che non potendo rispecchiarsi nella norma fa appello ad idoli, icone, modelli di successo a cui possa quantomeno avvicinarsi: un corpo, e una frontiera di conquista. su questo stereotipo becero fa scommesse il mercato, dimostrando ancora, se fosse neccessario, stereotipi di omofobia sociale.
lou si spoglia e i prozac + chissà forse potevano pure capitare sul carpet dell’ariston di sanremo. amavo moltissimo i prozac, la loro semplicità fatta di rime tronche, droga e nichilismo, in una pordenone spettrale, tossica, residuo industriale. la voce di eva e i temi sessuali-paranoici rendevano il loro punkrock traslucidamente queer, perlomeno  se confrontato col muscolare punk-hardcore o il college punk esplicitamente cazzone dei tempi. mi perdonerete l’interpretazione, ma voglio pensare oggi che lou, lo spacciatore protagonista della canzone citata qui sopra, si approssimi dolcemente al pronome “lu” che oggi transfem queer usano per il neutro. nè uomo nè donna nè altro: angelo, sexy e asessuat.
ascoltare i prozac + 25 anni fa era una bandiera: da una parte noi feticisti delle chitarre, “sono un’immondizia, puzzo“. dall’altra i normaloidi, praticamente tutto il resto del mondo nelle sue sfumature da giovanardi a mara venier.
ascoltare george michael 25 anni fa era una bandiera: da una parte tu piccolo frocetta solo relegat nella tua stanza, a chilometri e chilometri da un pompino. dall’altra gli eteronormati che nuotano nell’acquario delle relazioni amorose, famigliari, sociali: sicuramente laura pausini cantava esattamente di questo su raiqualsiasi la domenica pomeriggio.
è questo il banalissimo meccanismo della costruzione dell’icona gay: dare speranza e positività consumista a piccol transfrocie, ai fini del profitto dell’industria dello spettacolo. è forse giunta l’ora dell’iconoclastia?
e lou si spoglia per capire se è invisibile davvero e così le transfrocie mettono a nudo i loro hardware più sexy, a palesare la loro ob-scenità dal palco eterocisbianco.
lou si è chiamato david bowie, l’alien che tutte avremmo voluto leccare, lou si chiamava grace jones, erinne degenere contro il binarismo di genere, lou era ancora frankie knuckles, custode acido del paese delle technomeraviglie. sono alcune mostrose favole queer, le cito per rimanere sul piano dell’eclatante. avevano un’importate peculiarità: agganciarono l’ano della cultura musicale e la trascinarono verso le terre inesplorate dell’avanguardia, del meticciato, appunto dell’osceno. lo fecero di proposito, ed è questa la differenza sostanziale con gli appetibili trend della queernes odierna: la volontà, il potere di corrompere, l’iniziativa. e la loro frocitudine riluceva troppo accecante, e moltissima splendette su di noi abitanti di urano, ma qualche altro raggio inevitabilmente si posò sul capitale.
pochi esempi di sussunzione del capitale sono così emblematici come la messa a profitto della queerness. gaga gay icon for the money, in cima alle top chart mondiali suona gratis per tutt lu astanti dell’europride romano del 2011, in visibilio la comunità lgbt* la omaggia coi propri sesterzi, in un circolo infinito che al mercato della plastica tuo padre comprò.
anche sanremo non è da meno. è più da eni: campeggia infatti tra i banner sponsor del festival il logo di una delle più infami aziende italiane che ha fatto fortuna con sfruttamento energetico in africa, alimentando i conflitti in nome del profitto. sui cartelloni pubblicitari del festival un logo letteralmente verde… avoglia ad essere irritat dalla neolingua, cazzo usate l’inglese, siete incomprensibili.
greenwashing, pinkwashing, rainbowashing insomma una bella doccia fredda di merda molto colorata.

e quindi siamo tutte figlie di puttana, anzi no! di loredana, nel gran gioco del significante sottinteso, spoiler: è sempre il cazzo. e, guarda alla tele sorella! malgioglio vestito neroviola anarcoqueer, rivoluzione! eppure ricordavo che the revolution will not go better with Coke, the revolution will not be televised. persino il burqa è di gucci, brand che ha sdoganato la queerness, o viceversa non ricordo più bene.
anche quest’anno sanremo promette di essere gheifriendli, portando nei salotti di nonna la comunità lgbt* rispettabile, tanto cara alle mamme liberali, per mostrare a papà che in fondo in fondo i gays sono proprio come noi eteris, omonormali.
anzi babbo guarda c’è drusilla foer! ecco vedi lui ad esempio è ricchione però attento è italianissimo, ed è praticamente un borghese che prende a piene mani la cultura proletaria drag impersonando una donna aristocratica. un bell’ottovolante, apoteosi della rappresentazione del rassicurante gay perbene. una nobile a disposizione della massa, un modello gay cui dovremmo aspirare tutt. Per dirla in maniera forbita, un esempio calzante di elitismo di massa
“[…] un sentimento ossimorico su cui fa leva la pubblicità. i prodotti più ambiti sono <<in esclusiva per tutti>>, a prezzi popolari ma ricercati
[ippolita, gruppo di ricerca indipendente e interdisciplinare che si occupa di tecnologie digitali e filosofia della tecnica, “nell’acquario di facebook”, ledizioni 2020, nota 12 pg76]
anche tu puoi pensarti borghese anzi élite, accendendo il tuo dispositivo televisivo in prima serata nell’evento gemma della kermesse commerciale televisiva nazionale da 72 anni
sia ben chiaro: non colpevolizzo nè colpevolizzerò mai le transfroce cui la musica pop ha cambiato tutto. sono un punkrocker, e pochi generi sono pop come la punk. so bene che la musica può salvarti la vita.
punto 21 dita contro industria culturale, televisiva e discografica, su chiunque banchetti sulle nostre soggettività.
alla transfrocia involontariamente senza comunità dico: non sei sol! vieni da noi, passa al lato freek della forza, abbiamo i cockies.
qualcosa sta cambiando, e sempre più lu artist queer sviaggiano nella loro creatività cercando anche di cambiare materialmente la vita alle loro sorelle. lo dimostrano ad esempio le iniziative nate sulla pi importante piattaforma di musica underground al mondo, bandcamp. se persino un genere musicale tradizionalmente nazista come il black metal produce compilation a sostegno di popoli oppressi e comunità lgbt*, giovani artisti trans ne producono altre, in sostegno ad altr giovani trans.
sta a noi bastard figli* del niente riappropriarci della musica e lottare in questa peculiare battaglia culturale.
qui a torino aspettiamo con cupidigia uno degli eventi del pop mondiale, l’eurovision.
e sarà sempre, amore e rabbia
queer, not queerness 

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TANTI AUGURI HIV

tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri aids, tanti auguri a te 🎉🎉

oggi come allora, come sempre e per sempre sieroppositivə! ✨

40 anni son passati da quando per la prima volta si diagnosticò uno strano cancro che colpiva gli omosessuali maschi. una data dirimente, che cambiò le abitudini sessuali di molt dellu nostr sorellu, uno spartiacque che ancor di più sottolineò le differenze di rivendicazione tra gay perbene e froce mostruose e infette.

dopo 40 anni lo stigma sierofobico ha ancora enorme impatto sulle persone che vivono con hiv, e testarsi è per molt motivo di ansia e preoccupazione dopo 40 anni ancora act up, fight back, silence equals death: non possiamo rimanere silenzios di fronte ad un lungo eccidio che mieté le vite di molte queen, luccicanti di rabbia e senza più lacrime, e che ancora reclama i corpi di chi non ha il privilegio di potersi curare.

dopo 40 anni non possiamo restare silenzios di fronte alla tirannia plutocratica delle case farmaceutiche, che sulla pelle nostra e dellu nostr sorellu fanno gran soldoni dopo 40 anni e in una sindemia in corso ancora il sistema dei brevetti privatizza quello che dovrebbe essere sapere universale e universalmente accessibile, lasciando morire centinaia di migliaia di persone nate nel posto sbagliato.

volgiamo salute dal basso e cure per tuttə, prep gratis, abbattimento dello stigma, accesso autodeterminato alle terapie, e molto di più. la ribellione è infettiva, fatti contagiar! 🔥🔥🔥

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CAGNE IN FROCESSIONE

CAGNE IN FROCESSIONE contro padre, patria e padrone. questa la fascissima trinità che con euforia degenere, oscena bellezza, amore e rabbia abbiamo fatto a brandelli lo scorso 10 luglio durante la lunga frocessione che ha dissacrato le strade di torino. in continua allerta transfemminista queer ballerina, migliaia di persone si sono riversate splendenti nelle strade, mostrando anche quest’anno l’urgenza di prendere spazio e parola, agire la nostra perversa immaginazione, sovvertire la norma partendo da noi e parlando di noi, senza multinazionali come sponsor/servizi d’ordine/sbirraglia arcobaleno/politicanti liberal a caccia di voti. dieci stazioni della via fro.cis e più di venti interventi (non siamo davvero riuscit a contarli, l’urgenza di narrare, narrarci, denunciare e sognare è stata ed è tracotante). abbiamo sculettato, ci siamo fatt spogliare dai ritmi di radio blackout, dei vibrisse e della murga, per una street parade translellabifrocia che ha ribaltato la città.

APOCALISSE QUEER! svestitevi, perché verrà il giudizio di dior! per il quarto anno le mostre indecorose e post-sabaude del free(k) han fatto deserto della fetente norma patriarcale, razzista, sessista, specista, abilista, stronzista. se per una giornata è stato sospeso il regime politico eterocissessuale, sia queernevale tutti i giorni, perché cambieremo il mondo! la nostra favolosa fluidità che non fabbrica falsi binomi, non impone una verità, non ammicca ad alcuna legittimazione istituzionale anche quest’anno ha frocizzato l’esistente, e lo fa sempre più in grande.

ETEROSBIRRI PAGATECI L’ELICOTTERO per misurare chi ha la folla più lunga, vi spergiuriamo che non lo useremo per le vacanze su urano! eravamo tantissimu! abbiamo gridato di aborto, spazi safer, di salute dal basso e ricatto dei brevetti, di anticlericalismo e sette religiose, antispecismo, sex working, dei cpr=lager di stato, di pinkwashing internazionale, di gayntrificazione, di sostanze alteranti e stigma sessista, antimachismo, poliamore, sieropposizioni, bdsm politico. abbiamo usato il nostro corpo come primo strumento di lotta e di piacere: abbiamo ballato e perreggiato lungo quelle strade che ci marginalizzano, ci ghettizzano, ci riconoscono solo se consumatori; quelle strade che ci ‘tollerano’ quando siamo decoros, docili, invisibili, travestit da eterocisessuali… e quelle strade sabato scorso hanno goduto con noi. oltre agli interventi programmati abbiamo raccolto testimonianze spontanee da fate e streghe metropolitane che hanno attraversato il corteo: la zia di orlando, fratella suicidato dall’omofobia nella nostra città, ‘torino ti ama’ ha gridato al microfono, e ci si è sciolto il trucco. quella di un compagn spagnol che ci ha raccontato dell’infame omicidio di samuel, mosso sempre da disgustosa omofobia. i vostri nomi non verranno dimenticati! sorell, vi vendicheremo!
GRAZIE a chi ha condiviso corpe ormoni sudori rabbia casse, ai tamburi della murga, ai ripiglini delle chemical, ai dj subumano e yashin, alla brigata spillatresse di birra, allu compagn e complici di lotta della rete transfemminista queer venut a godere con noi da altre città, a chi (ancora) non era con noi, a chi ci stiamo dimenticando. al nostro pride che non è ‘l’anti-pride’ ma uno spazio di (r)esistenza, intersezioAnale, critico, transfemminista, froci@. un pride che non si esaurisce in una giornata: se ti abbiamo fatto battere il cuore e/o il qulo vieni a conoscerci, abbiamo un sacco di marachelle in mente e abbiamo appena iniziato.

ci vediamo in giro,
le vostre cagne

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FREE-K PRIDE 2021: LA FROCESSIONE

✨Free-k Pride: diffidate, siamo un’imitazione!✨

PERCHÉ LA FREE-K PRIDE?
Ci rivendichiamo la carnevalata, il cattivo gusto, la provocazione, la scomodità. Dopo oltre un anno di pandemia possiamo affermare che no, non ne siamo uscitə migliori: al contrario stiamo assistendo a un rigurgito di violenza sessista e omolesbobitransfobica che punisce chi prova ad autodeterminarsi smarcandosi dal regime cis-etero-patriarcale. Se pensi che questo sia un discorso retorico e ideologico la Free-k Pride esce le zanne anche per te e grida per strada che non vogliamo abituarci a vivere in un paese dove una donna viene uccisa ogni tre giorni, spesso da un uomo che ha le chiavi di casa. Che non vogliamo abituarci a vivere in una città dove una ‘borsa arcobaleno’ è un pretesto per essere brutalmente picchiatə per strada; dove un adolescente si butta sotto un treno e anche dopo la morte gli vengono spediti messaggi minatori in riferimento alla sua sessualità.

Non è rilevante se chi tiene in mano una borsa e/o viene bullizzatə a scuola sia gay o meno, come a un certo tipo di giornalismo acchiappaclick piace insinuare. Come translellebifrocie femministe e transfemministe sappiamo che questa violenza è sistemica e strutturale: basta un atteggiamento deviante, un vestitino, un bicchiere di troppo per incappare in chi è stato educato a considerare i nostri corpi a propria disposizione per essere picchiati/stuprati/controllati/eliminati.

SIAMO ANCHE TRADIZIO(A)NALI: ci riprendiamo dunque le strade, anche quest’anno senza chiedere il permesso. A chi vuole toglierci dallo sguardo dellə bambinə: siamo le mostre che sono uscite dall’armadio per frocizzare i vostri padri. A chi vuole farci fare le ‘nostre cose’ a casa nostra: ci pulsano gli ani, le antenne e le cazze, non basta una galassia a contenere il nostro desiderio, figurati un monolocale! A chi vuole strumentalizzare le nostre lotte per battere cassa e prendere voti: non concediamo nessuno spazio a politicanti liberal, sbirraglia varia e capitalismo arcobaleno, vogliamo vendetta frocia!

RIECCOLƏ! Ritornano rivoltosə e si riversano per strada lə indecorosə, per auto-affermarsi e nelle poco parche pose mostrarsi!

CI MUOVE IL PIACERE. Siamo incazzatə e rigettiamo la narrazione della vittima, l’unico costume che sembra esserci permesso vestire quando prendiamo parola pubblicamente. Ebbene, come potrete immaginare il nostro guardaroba straripa. Lottiamo per sovvertire l’esistente partendo da noi, dalle nostre corpe, desideri, ormoni, sorellanze. La Free-k Pride è una mostra antispecista, antirazzista, antifascista. Vieni con noi, vieni su di noi: ti queerivogliamo in strada, infestante e non conforme per sovvertire il dominio dell’eter(n)o cis patriarcato, polverizzare la ‘sacra’ famiglia, far saltare in aria qualsiasi binario e ogni sorta di prigione! Fuoco ai CPR! Corni e scongiuri: liberə di transitare fra generi e confini!

UNA PRIDE S/COPPIATA. Siamo translellebifrocie tutto l’anno, e con il nostro di culo. Anche per questo il pride come ricorrenza/grande evento mondano non ci rappresenta. La retorica rassicurante e normalizzante del #loveislove non ci appartiene, non dobbiamo e non vogliamo riprodurre gli schemi della coppia etero-mono-romantica per essere degnə del vostro supporto e considerazione. Le frocie vogliono molto di più della vostra rappresentazione dell’amore, le frocie vogliono sovvertire lo status quo!

SALUTE E STIGMA. Portiamo in strada i nostri corpi e i nostri percorsi che non si esauriscono certo in una giornata. In quest’ultimo anno la pandemia ha reso ancora più evidente che i corpi considerati sacrificabili sono i corpi che non producono e i corpi che non si riproducono. Abbiamo ragionato insieme sull’accesso alla salute che ci immaginiamo. Come rete cittadina abbiamo inaugurato un ciclo di incontri su stigma e salute che è andato a toccare temi quali HIV, utilizzo di sostanze alteranti e aborto, con un posizionamento transfemminista, antiproibizionista e antiessenzialista, insieme a tantə compagnə di marachelle e consapevoli che i corpi che scegliamo di raccontare sono i nostri corpi. Sieroppositivə gridiamo, brevetti sui farmaci non vi vogliamo! Case farmaceutiche? Monetizzate sulla vostra di salute! Stanche di aspettare in attesa da tre mesi e più, vogliamo risposte CIDIGeM, smettila di fare cisti! Abbiamo urgenza di autoaffermare il nostro genere, autodeterminarci e buttare i preti fuori dalle nostre mutande! Rifiutiamo la capitalizzazione del benessere, vogliamo che la salute sia realmente accessibile per tuttə. Rigettiamo il paternalismo medico così come quello di stato e chiesa: pretendiamo trasparenza e chiarezza sulle opzioni di cura per poter decidere noi consapevolmente sui nostri corpi.

‘GUARDA CHE A MIO PADRE GLI HO GIÀ SPUTATO IN FACCIA, ATTENTO FASCIO CHE NON CI METTO NIENTE’. Il piano di cattofasci e destre – mandanti effettivi di tutte le aggressioni omolesbobitranstuttofobiche – è chiaro: farci tornare a vergognare nelle nostre camerette, farci scomparire dalla scena pubblica, annientarci. Ma per quanto vi sforziate siamo sempre esistitə, esistiamo e continueremo a esistere. Stappatevi le orecchie: ci vorreste mortә o convertitә alla norma, ci avrete ancora più indecorosә, mostruosә e favolosә. E ci stiamo organizzando!

Non un tacco indietro! Concordate su sta fregna! 👠🦄🔥

▶️ Sabato 10 luglio, ore 15, concentramento in piazza Castello

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Dialoghi su salute e stigma

Come rete Free(K) Pride abbiamo sentito la necessità di avviare un percorso di discussione critica, autoformazione e riflessione sul tema della salute.

La nostra rete ha un approccio antiessenzialista, anticapitalista e antiautoritario, e lungo questi tre assi abbiamo orientato la nostra riflessione.

Siamo consapevoli che tanta parte della tecnica medicale serve gli interessi di chi bada solo al profitto. Rigettiamo tuttavia ogni approccio essenzialista che si fondi sulla deificazione della natura, che inchioda gli individui in ruoli e corpi rigidi. Rifiutiamo qualsiasi approccio normalizzante: critichiamo l’eccessiva medicalizzazione ma allo stesso tempo rigettiamo un’astratta contrapposizione tra natura e tecnica.
Con medicalizzazione intendiamo quella tendenza, diffusa a partire dal XVIII secolo, a ricorrere agli strumenti e alle categorie della medicina per definire e gestire condizioni umane che prima non erano considerate patologie (per esempio: invecchiamento, menopausa, “dipendenze”, differenze nell’orientamento sessuale e nell’identità di genere, differenze nell’apprendimento scolastico, differenze negli stati d’animo e nei modi di essere nel mondo, come la tristezza e la timidezza). Abbiamo riflettuto su come i concetti stessi di “salute” e “malattia” non sono concetti statici e “oggettivi”, ma la loro definizione cambia nel tempo e nello spazio e spesso dipende dalle dinamiche di potere agite nella società. Una pratica di resistenza alla medicalizzazione, per esempio, è quella dell’organizzazione di gruppi di pressione che riescono a influenzare l’opinione pubblica cambiando la percezione sociale (e in seguito la definizione medica) di ciò che è patologico, come è stato per il caso della depatologizzazione dell’omosessualità. Noi ci rivendichiamo le nostre differenze e le nostre mostruosità.

Per quanto riguarda l’asse della riflessione anticapitalista, pensiamo che la pandemia abbia reso ancora più evidente quanto le dinamiche di potere e le logiche di mercato influenzino anche l’organizzazione e le pratiche del sistema sanitario nella nostra società: nelle situazioni di emergenza, con un SSN già fortemente provato dai tagli, i corpi considerati sacrificabili sono i corpi che non producono. Il sistema medico contemporaneo è inserito all’interno di un sistema capitalista che non può prescindere dal calcolo del profitto e ne segue inevitabilmente le logiche.

Venendo al terzo asse, abbiamo individuato come problematico il rapporto tra operator_ sanitar_ e pazienti, ancora guidato da un approccio fortemente paternalistico: rimane prassi comune occultare alcune informazioni al_ paziente, non prendersi il tempo per spiegare al_ paziente dettagliatamente le sue condizioni e le opzioni di cura possibili e ascoltare quali sono le sue opinioni e reazioni in merito. In sintesi: un approccio fondato sulla tecnica e sulla cura dei sintomi, che non tiene conto pienamente dell’autodeterminazione del_ paziente e della sua personale percezione e definizione di che cos’è il benessere.

Questi tre assi sono per noi fittamente intrecciati e si influenzano a vicenda.

Abbiamo quindi sentito la necessità di estendere una riflessione sulle pratiche di mutualismo e scambio di conoscenze “dal basso”, che superino la deresponsabilizzazione de_ pazienti e la delega alla figura degli/delle espert_ e sulle possibilità di una divulgazione scientifica che sia il più accessibile possibile. Vorremmo ragionare su una riappropriazione di saperi che eviti derive antiscientifiche ma, allo stesso tempo, punti alla distruzione delle logiche capitalistiche e paternalistiche e/o elitarie. Rivendichiamo con forza un uso delle tecniche e dei saperi medici che siano davvero a servizio delle comunità, che non siano calati dall’alto, che siano liberi e accessibili a tutt_ secondo l’autodeterminazione delle singole persone.

Per tutti questi motivi lanciamo una serie di dialoghi nei quali continueremo a interrogarci su che cosa vuol dire salute per noi, qual è l’approccio politico alla salute emerso dalla gestione della pandemia, quali sono i parallelismi tra questa gestione e la gestione medica e politica di altre condizioni su cui pesa lo stigma sociale (HIV, uso di sostanze, aborto, sofferenza psichica).

1) VENERDÌ 9 APRILE alle 21: SIERO(P)POSITIVE: dialoghi tra HIV, stigma e buoni affari in tempo di pandemia (online, si può rivedere qui: https://youtu.be/vIC_ocgFZ6Y)

2) VENERDÌ 28 MAGGIO alle 17.30: IN-DIPENDENZE: corpi e sostanze tra desiderio e stigma (presso Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito, Largo Maurizio Vitale 113, Torino)

3) SABATO 26 GIUGNO alle 17.30: DE-GENERAZIONI: dialoghi sull’aborto tra stigma, legalità e illegalità (presso Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito, Largo Maurizio Vitale 113, Torino)

4) DOMENICA 12 DICEMBRE alle 16.00: (S)CONFINI DI GENERE: dialoghi sul controllo medico-psichiatrico dei corpi trans e froci (presso CSOA Gabrio, via Millio 42, Torino)

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Frocial Mass – una testimonianza

(scritto il 15 luglio 2020)
Pubblichiamo di seguito un’altra testimonianza arrivata su questa pagina qualche giorno prima della Frocial Mass.
"Forse dobbiamo lasciar stare per un po’ gli arcobaleni e tirare fuori la tempesta che abbiamo dentro."
 
“Da anni andare al Pride per me è un momento gioioso, un momento di festa, ma anche un’azione politica con cui portare nelle strade e sotto agli occhi di tutti quell’accettazione che vivo ogni giorno nella mia piccola sfera sociale. La decisione di quest’anno del coordinamento torinopride di relegare questa manifestazione online è stata un duro colpo: riconosco l’emergenza sanitaria, ma la società che nega la nostra dignità individuale ogni giorno dove finisce? 
Mi è sembrato aleggiasse nei canali ufficiali questo senso di normalità come se andasse bene fare un Pride online, come fosse una cosa bella e forse un po’ geniale. 
Scusate, ma io non ci sto, io il Pride online ce l’ho ogni giorno quando apro qualunque social: scorrere la home per me significa navigare in un mare queer, non c’è bisogno che sia giugno. 
Allora penso che forse davvero vivere il Pride in modo festaiolo significhi perdersi un pezzo per strada.
Ogni giorno lotto per affermare il mio corpo e la mia identità davanti a qualcuno. Ogni giorno l’apparente discrepanza fra la mia lotta per un corpo diverso e il mio affermare di non essere in un corpo sbagliato viene messa in discussione. Ogni giorno devo leggere almeno un paio di volte il mio nome anagrafico non ancora rettificato e magari scriverlo e usarlo in una firma su un documento ufficiale.
Lo sconforto che provo quando la cassiera del supermercato mi chiama “signorina” diventa rabbia quando scopro l’iter per ottenere una carriera alias all’università e il tutto sfocia in indignazione nel momento in cui nel centro in cui si occupano di persone trans mi allungano un foglio che dichiara “la paziente è affetta da disforia di genere”. 
Sì, ho ricevuto da poco la diagnosi di disforia di genere, o meglio, la mia identità anagrafica, esistente solo su un attestato di nascita chiuso nell’armadio in ingresso e su una carta di identità nel mio portafoglio, ha ricevuto la diagnosi di disforia di genere: una malattia che siamo tutti più o meno d’accordo che non esiste, ma la diagnostichiamo lo stesso perché se no una psicologa non saprebbe come dire in modo abbastanza burocratico e disumano che la mia sofferenza psicologica data dall’essere trattato come una ragazza è abbastanza grande da giustificare un percorso di transizione. Ci ha messo un anno per scrivere questa cosa su un foglio. Intanto sto cercando una clinica all’estero che accetti di operarmi per qualche migliaio di euro perché operarmi in Italia significherebbe aspettare almeno ancora un anno, perché qui non possiamo fare quello che vogliamo dei nostri corpi: finiremmo col distruggere il sistema cis-etero-patriarcale e i sudditi di questo paese potrebbero finire col pensare di essere delle persone invece che delle macchine da lavoro e da riproduzione, e questo evidentemente non possiamo permettercelo.
Questo percorso di transizione che sto affrontando (che per ora è consistito solo nel dire ripetutamente fino alla nausea che voglio fare un percorso di transizione) e il fatto di affrontarlo in un paese che non riconosce la mia identità e che mi fa “accompagnare nel percorso” da persone che non riconoscono la mia identità, ha fatto crescere in me rabbia, voglia di protestare, di ribaltare l’intera società e rifarla da capo.
Quindi forse a ben pensarci sono felice che non ci sia stato il Pride. Come si porta un corpo spezzato a un Pride? Come si sventola una bandiera arcobaleno per dire “questo sono io” quando ci si è dimenticati chi si è perché si è impegnati a fingere di essere chi non si è per essere liberi di essere come si è? Come si balla dietro al carro del bananamia quando si vorrebbe gridare e protestare e alzare cartelli e striscioni?
Io non lo so. 
Come non so se qualcuno leggendo questo flusso di pensieri è riuscito a cogliere qualcosa di ciò che volevo dire.
In tutto ciò la mia migliore amica se ne esce con questo Free-k Pride, mi fa leggere la descrizione e io mi innamoro.
Le previsioni per sabato danno brutto, ma forse è giusto così. Forse dobbiamo lasciar stare per un po’ gli arcobaleni e tirare fuori la tempesta che abbiamo dentro.”
 
Cam Pavese

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TDOR 2020 – rivendicazione nella Trans Freedom March

(pubblicato il 21 novembre 2020)
Ieri abbiamo portato in piazza i nostri corpi per la Trans Freedom March TDoR 2020 e abbiamo letto l’intervento che riportiamo di seguito. Perché non sia solo un giorno di commemorazione ma anche per rivendicarci la rabbia, contro la transfobia sociale e di stato, contro le gabbie del binarismo e del controllo sui confini di genere.
tdor2020
 
INTERVENTO TDOR 2020
Iniziamo questo intervento come rete Free(k) Pride riprendendo un testo che era stato scritto l’anno scorso in preparazione del nostro pride da due persone trans, e che abbiamo integrato nella parte finale con alcune nostre osservazioni critiche alla luce dei cambiamenti dell’ultimo anno.
In questo intervento userò la parola trans, ma forse non è la parola più adatta per questa situazione. Una persona trans coincide spesso, nella nostra immaginazione, con una persona che ha deciso di iniziare un percorso di medicalizzazione per cambiare alcune caratteristiche. Sento il bisogno di parlare non soltanto di chi sta facendo un percorso di transizione, ma anche di chi non si definisce cis. Anche di chi ha elaborato la propria identità di genere in modi non normativi. Purtroppo, però, non avendo trovato altri termini che siano ugualmente immediati, ho scelto di usare il termine trans.
L’intera società si basa sull’assegnazione alla nascita di uno degli unici due generi considerati reali, a seconda dell’anatomia di ciò che abbiamo tra le gambe. Questi due generi sono costruiti come opposti, e per questo complementari, basandosi su una presunta ‘corrispondenza biologica’ tra il genere di una persona e uno dei due sessi, maschio e femmina. Anch’essi costruiti socialmente come poli opposti e complementari. Tutto viene normato in base al genere assegnato: gli interessi, i comportamenti, gli abiti e gli accessori, gli sport, i giochi, l’interesse sessuale, la voglia di fare sesso, la lunghezza dei capelli, la quantità di peli, i mestieri. La nostra anatomia viene usata per decidere che persone dobbiamo diventare. Se deludiamo le aspettative c’è qualcosa che non va. Chiunque non rientri nelle norma viene discriminata, bollat come errore e forzato ad aderirvi. Le persone trans sono persone a cui viene assegnato un genere diverso dal proprio, alla nascita. Per essere definibili trans non è necessario fare operazioni chirurgiche ai propri genitali. Non è necessario iniziare a prendere ormoni e neanche cambiare nome. Non è necessario cambiare ‘pronomi’, ovvero il modo di parlare di sé (maschile, femminile, nessun genere o entrambi o altro). Alcune persone trans decidono di fare una transizione medicalizzata, quindi chirurgie e/o prendere ormoni, ma non tutte! Nonostante ciò, si sceglie di ignorare la nostra esistenza e si preferisce indicarci come eccezioni, confusə, strambə.
Le uniche persone ad avere il privilegio di vivere tranquillamente il proprio genere sono le persone cisgender. Con cisgender intendo tutt coloro la cui identità di genere corrisponde con quella data alla nascita in base alla loro anatomia. Persone assegnate al sesso maschile che sono uomini. Persone assegnate al sesso femminile che sono donne.
Chi è trans viene bloccatə, invisibilizzatə e patologizzatə. Essere trans è permesso solo in presenza di una diagnosi psichiatrica. Come se fossero i medici a doverci dare il permesso di esistere. Le persone trans sono credute tali, solo se hanno un forte disagio per il proprio corpo. Si parla di persone nate nel corpo sbagliato; come se ci fossero corpi giusti e corpi sbagliati. Come se l’esistenza delle persone trans fosse un errore biologico; a cui lə medicə sono felici di porre rimedio. La voglia di sottoporsi a un trattamento ormonale, e soprattutto la volontà di sottoporsi a una chirurgia genitale sembrano essere gli unici modi per distinguere chi è ‘davvero trans’, da chi non lo è abbastanza, quindi è considerabile cis. Invece le persone trans sono tante, e diverse. C’è chi decide di transizionare e chi no. Tutt siamo ‘abbastanza trans’.
Al momento per essere trans devi chiedere l’autorizzazione e il giudizio di professionistə, che la maggior parte delle volte sembrano messə là per assicurarsi che la tua infrazione di genere non sia troppo esagerata, spudorata o visibile. In Italia puoi cambiare nome solo con uno che si accordi al sesso assegnato alla nascita. E se il nome non coincide hai bisogno di procurarti certificazioni psichiatriche e psicologiche che ti diagnostichino un disordine, prima classificato come mentale, adesso come disturbo dello sviluppo sessuale. Se non hai abbastanza soldi per pagare unə psicologə privatə, devi rivolgerti al sistema pubblico e tutto diventa molto più lungo, cisnormativo e binario. Non è previsto che tu voglia cambiare nome senza chiedere il permesso a unə medicə. Non è previsto che tu voglia cambiare nome senza fare prima un percorso di transizione ‘fisica’. Nel protocollo medico più utilizzato nei centri di transizione in Italia, anche a Torino, devi sopportare minimo 6 mesi di sedute psicologiche (e alcune psichiatriche a seconda dei posti) in cui dimostri che tu sei abbastanza trans per avere la loro autorizzazione a procedere. Quando lə specialistə ti avranno giudicato sufficientemente trans per i loro standard, avrai la diagnosi di disforia di genere. Con questa potrai iniziare un periodo di 12 mesi che viene chiamato “esperienza di vita reale”. Inizierai a prendere gli ormoni del sesso costruito socialmente come opposto, sempre costrett ad andare dallə psicologə a cui dimostrare di essere abbastanza trans. Alla fine di questi 12 mesi, portando i documenti a unu giudice, questu ti darà il permesso per cambiare nome e sesso legale (in maschio o femmina, non ci sono altre opzioni).
Nonostante la necessità di diagnosi, in realtà nel bugiardino dei farmaci utilizzati come ormoni non è segnata la disforia di genere. Questo significa che anche con l’autorizzazione del medico, dopo tutti quei mesi da psicologə, capita che in farmacia si rifiutino di darti il farmaco perchè è illegale dare testosterone a persone indicate come femmine. 
A fine settembre di quest’anno l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha firmato due determine che stabiliscono l’erogabilità delle terapie ormonali sostitutive a totale carico del Servizio sanitario nazionale. 
La notizia è stata accolta con grande entusiasmo da associazioni trans e LGBT. Se da un lato comprendiamo che queste determine possano rappresentare un miglioramento delle condizioni di accesso agli ormoni da parte di alcune persone trans, dall’altra pensiamo sia anche importante riconoscerne i limiti. Innanzitutto, si identificano come possibili prescrittor equipe di professionisti specializzati in identità di genere e per accedere alla gratuità ci vuole una diagnosi di disforia o incongruenza di genere: ancora una volta le persone trans vengono trattate da malate. Inoltre, le equipe specializzate non sono distribuite in modo uniforme sul territorio, e questo potrebbe causare disuguaglianze nell’accesso. Ancora, le due delibere parlano rispettivamente di «processo di virilizzazione di uomini transgender» e «di femminilizzazione di donne transgender». Questo rigido e anacronistico binarismo è transfobico proprio a partire dal linguaggio utilizzato, che esclude di fatto tutte le soggettività non binarie [binarism is for computer].
Anche se vuoi farti delle operazioni devi chiedere il permesso allə giudicə, dopo tutti questi mesi di psico-dimostrazione. La legge è a interpretazione dellə giudicə, che a volte nomina un CTU, perchè reputa necessari ulteriori accertamenti psicologici, come se 18 mesi non fossero già abbastanza. Questo protocollo non prevede l’esistenza di persone non maschi o non femmine. Le persone non binarie e queer sono forzate a non esistere. Non prevede neanche l’esistenza di percorsi diversi da quello standard. In alcuni tribunali non è previsto il cambio di nome e sesso legale senza prima la sterilizzazione. Secondo loro l’operazione ai genitali dovrebbe segnare la tua indissolubile convinzione di appartenenza al “sesso opposto”. Non puoi toglierti le tette senza prima farti crescere la barba, non puoi cambiare nome prima di aver assunto ormoni. E nel caso in cui tu non volessi seguire il loro protocollo, non puoi accedere alle operazioni. Le eccezioni e le sentenze esistono, ma sono appunto eccezioni rispetto al protocollo, e renderle tali contribuisce alla discriminazione per chiunque affronti un percorso “non standard”. Da minorenne non puoi operarti, devi aspettare i 18 anni. Da minorenne i tuoi genitori hanno il potere di decidere se farti iniziare un percorso di transizione o meno. Da bambin devi sperare che lə pediatra si sia informat sulla varianza di genere e conosca centri a cui indirizzarti.
Potrebbe sembrare assurdo ma se un giorno volessi aumentare il mio seno di 3 taglie, ci vorrebbe molto meno tempo e fatica rispetto a quanto ci vuole per poterlo rimpicciolire o eliminare. La libertà ad autodeterminarsi è limitata da quanto siamo normat, e normal, agli occhi altrui.
La patologizzazione delle identità non normate si riflette ovunque. In università esiste la carriera alias, cioè avere il proprio nome e non quello anagrafico sul libretto, prima che il giudice dia l’autorizzazione al cambio dei documenti. Ma anche questa al momento può essere richiesta solo se si ha l’autorizzazione di unə psicologə. Senza contare che è solo per studenti e studentesse.
Vogliamo essere trans e frocie, bisessuali, pansessuali, asessuali, demisessuali senza sentire il bisogno di nasconderlo perchè lə dottorə pensano che l’unico modo giusto per essere trans sia essere etero. Vogliamo essere trans e migranti, senza che questo precluda l’accesso ai servizi che scegliamo, se li scegliamo, per la nostra transizione. Vogliamo essere trans e avere un lavoro, con una legge che elimini le discriminazioni. Vogliamo essere trans e minorenni, senza che questo ci costringa ad attendere i 18 anni o l’autorizzazione di altru per autodeterminarci. Vogliamo essere uomini in gonna, donne con peli, persone non binarie truccate, persone queer che odiano truccarsi, senza che l’endocrinolog lo segni nella sua anamnesi come se fosse rilevante. Vogliamo essere trans e non binary, ovunque, senza dover chiedere scusa. Vogliamo essere trans e autisticə, senza che questo renda impossibile trovare psicoterapeutə competenti. Vogliamo essere trans e masturbarci, fare poco sesso, fare tanto sesso o non farlo per nulla, senza che importi qualcosa a chi deve darci l’autorizzazione. Vogliamo poter essere trans e confus e prenderci il nostro tempo per capire, senza che la nostra legittima confusione vi serva per forzarci ad essere cis. Vogliamo più tutele nella denuncia delle discriminazioni che subiamo dal sistema sanitario.
Nessun dovrebbe chiedermi se le persone non binarie esistano. O se sono ancora sicuro di essere non binario, soprattutto lə medicə a cui mi rivolgo per la transizione. Nessun dovrebbe chiamare la mia situazione “confusione di genere”, dirmi che prima o poi capirò di essere uomo o donna. Nessun dovrebbe prendere nota di come mi vesto, affermando la presenza di un problema medico se qualcun dice di essere uomo ma si veste da donna. Nessun dovrebbe porsi problemi sul mio orientamento sessuale.
Questa è transfobia di stato e ha una relazione diretta con la transfobia sociale, responsabile delle violenze e della morte di troppe persone trans. Facciamo che questo non sia solo un giorno di commemorazione delle vittime, rivendichiamoci la rabbia contro la violenza transfobica, non accontentiamoci delle briciole dello stato paternalista.
 
IO NON SONO LA QUANTITÀ DI PELI CHE HO 
IO NON SONO IL MIO TIMBRO DI VOCE 
IO NON SONO UN NOME SULLA CARTA DI IDENTITÀ 
IO NON SONO LA QUANTITÀ DI ORMONI CHE LO STATO VUOLE CHE ASSUMA 
IO NON SONO RAPPRESENTATə DAGLI STEREOTIPI DI GENERE E DAGLI STANDARD DI
BELLEZZA
IO NON SONO IL GENERE CHE PERCEPITE 
IO NON SONO PER FORZA DONNA O UOMO 
IO NON SONO UNA PATOLOGIA
VOGLIAMO ESSERE LIBER DI TRANSITARE TRA GENERI E CONFINI

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