Frocial Mass – una testimonianza


(scritto il 15 luglio 2020)
Pubblichiamo di seguito un’altra testimonianza arrivata su questa pagina qualche giorno prima della Frocial Mass.
"Forse dobbiamo lasciar stare per un po’ gli arcobaleni e tirare fuori la tempesta che abbiamo dentro."
 
“Da anni andare al Pride per me è un momento gioioso, un momento di festa, ma anche un’azione politica con cui portare nelle strade e sotto agli occhi di tutti quell’accettazione che vivo ogni giorno nella mia piccola sfera sociale. La decisione di quest’anno del coordinamento torinopride di relegare questa manifestazione online è stata un duro colpo: riconosco l’emergenza sanitaria, ma la società che nega la nostra dignità individuale ogni giorno dove finisce? 
Mi è sembrato aleggiasse nei canali ufficiali questo senso di normalità come se andasse bene fare un Pride online, come fosse una cosa bella e forse un po’ geniale. 
Scusate, ma io non ci sto, io il Pride online ce l’ho ogni giorno quando apro qualunque social: scorrere la home per me significa navigare in un mare queer, non c’è bisogno che sia giugno. 
Allora penso che forse davvero vivere il Pride in modo festaiolo significhi perdersi un pezzo per strada.
Ogni giorno lotto per affermare il mio corpo e la mia identità davanti a qualcuno. Ogni giorno l’apparente discrepanza fra la mia lotta per un corpo diverso e il mio affermare di non essere in un corpo sbagliato viene messa in discussione. Ogni giorno devo leggere almeno un paio di volte il mio nome anagrafico non ancora rettificato e magari scriverlo e usarlo in una firma su un documento ufficiale.
Lo sconforto che provo quando la cassiera del supermercato mi chiama “signorina” diventa rabbia quando scopro l’iter per ottenere una carriera alias all’università e il tutto sfocia in indignazione nel momento in cui nel centro in cui si occupano di persone trans mi allungano un foglio che dichiara “la paziente è affetta da disforia di genere”. 
Sì, ho ricevuto da poco la diagnosi di disforia di genere, o meglio, la mia identità anagrafica, esistente solo su un attestato di nascita chiuso nell’armadio in ingresso e su una carta di identità nel mio portafoglio, ha ricevuto la diagnosi di disforia di genere: una malattia che siamo tutti più o meno d’accordo che non esiste, ma la diagnostichiamo lo stesso perché se no una psicologa non saprebbe come dire in modo abbastanza burocratico e disumano che la mia sofferenza psicologica data dall’essere trattato come una ragazza è abbastanza grande da giustificare un percorso di transizione. Ci ha messo un anno per scrivere questa cosa su un foglio. Intanto sto cercando una clinica all’estero che accetti di operarmi per qualche migliaio di euro perché operarmi in Italia significherebbe aspettare almeno ancora un anno, perché qui non possiamo fare quello che vogliamo dei nostri corpi: finiremmo col distruggere il sistema cis-etero-patriarcale e i sudditi di questo paese potrebbero finire col pensare di essere delle persone invece che delle macchine da lavoro e da riproduzione, e questo evidentemente non possiamo permettercelo.
Questo percorso di transizione che sto affrontando (che per ora è consistito solo nel dire ripetutamente fino alla nausea che voglio fare un percorso di transizione) e il fatto di affrontarlo in un paese che non riconosce la mia identità e che mi fa “accompagnare nel percorso” da persone che non riconoscono la mia identità, ha fatto crescere in me rabbia, voglia di protestare, di ribaltare l’intera società e rifarla da capo.
Quindi forse a ben pensarci sono felice che non ci sia stato il Pride. Come si porta un corpo spezzato a un Pride? Come si sventola una bandiera arcobaleno per dire “questo sono io” quando ci si è dimenticati chi si è perché si è impegnati a fingere di essere chi non si è per essere liberi di essere come si è? Come si balla dietro al carro del bananamia quando si vorrebbe gridare e protestare e alzare cartelli e striscioni?
Io non lo so. 
Come non so se qualcuno leggendo questo flusso di pensieri è riuscito a cogliere qualcosa di ciò che volevo dire.
In tutto ciò la mia migliore amica se ne esce con questo Free-k Pride, mi fa leggere la descrizione e io mi innamoro.
Le previsioni per sabato danno brutto, ma forse è giusto così. Forse dobbiamo lasciar stare per un po’ gli arcobaleni e tirare fuori la tempesta che abbiamo dentro.”
 
Cam Pavese

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