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la pop e noi: hey transfrocia! scaldati il ​​cuore, l’ariston brucia

ciau amix, una freek vorrebbe dirvi questa cosa, a partire dalla sua storia ed esperienza persoanale

 

lou si spoglia per capire se è invisibile davvero
o se è solamente vero che lou è un bastardo solo
si dà botte tra la gente per mostrare che è esistente
lou si sente sempre solo bastardo figlio del niente
(prozac +, angelo, 2000)
ah com’è bello il corpo transfrocio
appetibile, glamour, translucida, poca carne innestata su apparati scheletrici. sacchi di dollaroni inversamente proporzionali al peso, a seconda dell’inflazione
per molto tempo mi sono interrogata sul perchè il corpo transfrocio sia uno dei migliori esempi del trend setting capitalista almeno da cinquant’anni. questo corpo è tutt’ora campo di battaglia principe per la sperimentazione del consumo.
la nostra materialità, substrati di carnepomodoro e glitter, è da molto tempo oggetto di targetizzazione da parte del mercato, e viceversa dal mercato è costruita: chi nasce prima, la frocia che, pur produttiva capitalisticamente, ha genitali socialmente sterili ed è pronta a consumare l’ultima mise d’alta moda, o la moda, avvitata sulle sue esili spalle, essenziale ingranaggio nel completamento del mostro cyberglamour?
il corpo maschio gay, che quella cosa zozza da fuori non si vede, almeno finchè non lo dice, che non ha famiglia quindi ha soldi da spendere e tempo per se stesso, e che non potendo rispecchiarsi nella norma fa appello ad idoli, icone, modelli di successo a cui possa quantomeno avvicinarsi: un corpo, e una frontiera di conquista. su questo stereotipo becero fa scommesse il mercato, dimostrando ancora, se fosse neccessario, stereotipi di omofobia sociale.
lou si spoglia e i prozac + chissà forse potevano pure capitare sul carpet dell’ariston di sanremo. amavo moltissimo i prozac, la loro semplicità fatta di rime tronche, droga e nichilismo, in una pordenone spettrale, tossica, residuo industriale. la voce di eva e i temi sessuali-paranoici rendevano il loro punkrock traslucidamente queer, perlomeno  se confrontato col muscolare punk-hardcore o il college punk esplicitamente cazzone dei tempi. mi perdonerete l’interpretazione, ma voglio pensare oggi che lou, lo spacciatore protagonista della canzone citata qui sopra, si approssimi dolcemente al pronome “lu” che oggi transfem queer usano per il neutro. nè uomo nè donna nè altro: angelo, sexy e asessuat.
ascoltare i prozac + 25 anni fa era una bandiera: da una parte noi feticisti delle chitarre, “sono un’immondizia, puzzo“. dall’altra i normaloidi, praticamente tutto il resto del mondo nelle sue sfumature da giovanardi a mara venier.
ascoltare george michael 25 anni fa era una bandiera: da una parte tu piccolo frocetta solo relegat nella tua stanza, a chilometri e chilometri da un pompino. dall’altra gli eteronormati che nuotano nell’acquario delle relazioni amorose, famigliari, sociali: sicuramente laura pausini cantava esattamente di questo su raiqualsiasi la domenica pomeriggio.
è questo il banalissimo meccanismo della costruzione dell’icona gay: dare speranza e positività consumista a piccol transfrocie, ai fini del profitto dell’industria dello spettacolo. è forse giunta l’ora dell’iconoclastia?
e lou si spoglia per capire se è invisibile davvero e così le transfrocie mettono a nudo i loro hardware più sexy, a palesare la loro ob-scenità dal palco eterocisbianco.
lou si è chiamato david bowie, l’alien che tutte avremmo voluto leccare, lou si chiamava grace jones, erinne degenere contro il binarismo di genere, lou era ancora frankie knuckles, custode acido del paese delle technomeraviglie. sono alcune mostrose favole queer, le cito per rimanere sul piano dell’eclatante. avevano un’importate peculiarità: agganciarono l’ano della cultura musicale e la trascinarono verso le terre inesplorate dell’avanguardia, del meticciato, appunto dell’osceno. lo fecero di proposito, ed è questa la differenza sostanziale con gli appetibili trend della queernes odierna: la volontà, il potere di corrompere, l’iniziativa. e la loro frocitudine riluceva troppo accecante, e moltissima splendette su di noi abitanti di urano, ma qualche altro raggio inevitabilmente si posò sul capitale.
pochi esempi di sussunzione del capitale sono così emblematici come la messa a profitto della queerness. gaga gay icon for the money, in cima alle top chart mondiali suona gratis per tutt lu astanti dell’europride romano del 2011, in visibilio la comunità lgbt* la omaggia coi propri sesterzi, in un circolo infinito che al mercato della plastica tuo padre comprò.
anche sanremo non è da meno. è più da eni: campeggia infatti tra i banner sponsor del festival il logo di una delle più infami aziende italiane che ha fatto fortuna con sfruttamento energetico in africa, alimentando i conflitti in nome del profitto. sui cartelloni pubblicitari del festival un logo letteralmente verde… avoglia ad essere irritat dalla neolingua, cazzo usate l’inglese, siete incomprensibili.
greenwashing, pinkwashing, rainbowashing insomma una bella doccia fredda di merda molto colorata.

e quindi siamo tutte figlie di puttana, anzi no! di loredana, nel gran gioco del significante sottinteso, spoiler: è sempre il cazzo. e, guarda alla tele sorella! malgioglio vestito neroviola anarcoqueer, rivoluzione! eppure ricordavo che the revolution will not go better with Coke, the revolution will not be televised. persino il burqa è di gucci, brand che ha sdoganato la queerness, o viceversa non ricordo più bene.
anche quest’anno sanremo promette di essere gheifriendli, portando nei salotti di nonna la comunità lgbt* rispettabile, tanto cara alle mamme liberali, per mostrare a papà che in fondo in fondo i gays sono proprio come noi eteris, omonormali.
anzi babbo guarda c’è drusilla foer! ecco vedi lui ad esempio è ricchione però attento è italianissimo, ed è praticamente un borghese che prende a piene mani la cultura proletaria drag impersonando una donna aristocratica. un bell’ottovolante, apoteosi della rappresentazione del rassicurante gay perbene. una nobile a disposizione della massa, un modello gay cui dovremmo aspirare tutt. Per dirla in maniera forbita, un esempio calzante di elitismo di massa
“[…] un sentimento ossimorico su cui fa leva la pubblicità. i prodotti più ambiti sono <<in esclusiva per tutti>>, a prezzi popolari ma ricercati
[ippolita, gruppo di ricerca indipendente e interdisciplinare che si occupa di tecnologie digitali e filosofia della tecnica, “nell’acquario di facebook”, ledizioni 2020, nota 12 pg76]
anche tu puoi pensarti borghese anzi élite, accendendo il tuo dispositivo televisivo in prima serata nell’evento gemma della kermesse commerciale televisiva nazionale da 72 anni
sia ben chiaro: non colpevolizzo nè colpevolizzerò mai le transfroce cui la musica pop ha cambiato tutto. sono un punkrocker, e pochi generi sono pop come la punk. so bene che la musica può salvarti la vita.
punto 21 dita contro industria culturale, televisiva e discografica, su chiunque banchetti sulle nostre soggettività.
alla transfrocia involontariamente senza comunità dico: non sei sol! vieni da noi, passa al lato freek della forza, abbiamo i cockies.
qualcosa sta cambiando, e sempre più lu artist queer sviaggiano nella loro creatività cercando anche di cambiare materialmente la vita alle loro sorelle. lo dimostrano ad esempio le iniziative nate sulla pi importante piattaforma di musica underground al mondo, bandcamp. se persino un genere musicale tradizionalmente nazista come il black metal produce compilation a sostegno di popoli oppressi e comunità lgbt*, giovani artisti trans ne producono altre, in sostegno ad altr giovani trans.
sta a noi bastard figli* del niente riappropriarci della musica e lottare in questa peculiare battaglia culturale.
qui a torino aspettiamo con cupidigia uno degli eventi del pop mondiale, l’eurovision.
e sarà sempre, amore e rabbia
queer, not queerness 

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TDOR 2020 – rivendicazione nella Trans Freedom March

(pubblicato il 21 novembre 2020)
Ieri abbiamo portato in piazza i nostri corpi per la Trans Freedom March TDoR 2020 e abbiamo letto l’intervento che riportiamo di seguito. Perché non sia solo un giorno di commemorazione ma anche per rivendicarci la rabbia, contro la transfobia sociale e di stato, contro le gabbie del binarismo e del controllo sui confini di genere.
tdor2020
 
INTERVENTO TDOR 2020
Iniziamo questo intervento come rete Free(k) Pride riprendendo un testo che era stato scritto l’anno scorso in preparazione del nostro pride da due persone trans, e che abbiamo integrato nella parte finale con alcune nostre osservazioni critiche alla luce dei cambiamenti dell’ultimo anno.
In questo intervento userò la parola trans, ma forse non è la parola più adatta per questa situazione. Una persona trans coincide spesso, nella nostra immaginazione, con una persona che ha deciso di iniziare un percorso di medicalizzazione per cambiare alcune caratteristiche. Sento il bisogno di parlare non soltanto di chi sta facendo un percorso di transizione, ma anche di chi non si definisce cis. Anche di chi ha elaborato la propria identità di genere in modi non normativi. Purtroppo, però, non avendo trovato altri termini che siano ugualmente immediati, ho scelto di usare il termine trans.
L’intera società si basa sull’assegnazione alla nascita di uno degli unici due generi considerati reali, a seconda dell’anatomia di ciò che abbiamo tra le gambe. Questi due generi sono costruiti come opposti, e per questo complementari, basandosi su una presunta ‘corrispondenza biologica’ tra il genere di una persona e uno dei due sessi, maschio e femmina. Anch’essi costruiti socialmente come poli opposti e complementari. Tutto viene normato in base al genere assegnato: gli interessi, i comportamenti, gli abiti e gli accessori, gli sport, i giochi, l’interesse sessuale, la voglia di fare sesso, la lunghezza dei capelli, la quantità di peli, i mestieri. La nostra anatomia viene usata per decidere che persone dobbiamo diventare. Se deludiamo le aspettative c’è qualcosa che non va. Chiunque non rientri nelle norma viene discriminata, bollat come errore e forzato ad aderirvi. Le persone trans sono persone a cui viene assegnato un genere diverso dal proprio, alla nascita. Per essere definibili trans non è necessario fare operazioni chirurgiche ai propri genitali. Non è necessario iniziare a prendere ormoni e neanche cambiare nome. Non è necessario cambiare ‘pronomi’, ovvero il modo di parlare di sé (maschile, femminile, nessun genere o entrambi o altro). Alcune persone trans decidono di fare una transizione medicalizzata, quindi chirurgie e/o prendere ormoni, ma non tutte! Nonostante ciò, si sceglie di ignorare la nostra esistenza e si preferisce indicarci come eccezioni, confusə, strambə.
Le uniche persone ad avere il privilegio di vivere tranquillamente il proprio genere sono le persone cisgender. Con cisgender intendo tutt coloro la cui identità di genere corrisponde con quella data alla nascita in base alla loro anatomia. Persone assegnate al sesso maschile che sono uomini. Persone assegnate al sesso femminile che sono donne.
Chi è trans viene bloccatə, invisibilizzatə e patologizzatə. Essere trans è permesso solo in presenza di una diagnosi psichiatrica. Come se fossero i medici a doverci dare il permesso di esistere. Le persone trans sono credute tali, solo se hanno un forte disagio per il proprio corpo. Si parla di persone nate nel corpo sbagliato; come se ci fossero corpi giusti e corpi sbagliati. Come se l’esistenza delle persone trans fosse un errore biologico; a cui lə medicə sono felici di porre rimedio. La voglia di sottoporsi a un trattamento ormonale, e soprattutto la volontà di sottoporsi a una chirurgia genitale sembrano essere gli unici modi per distinguere chi è ‘davvero trans’, da chi non lo è abbastanza, quindi è considerabile cis. Invece le persone trans sono tante, e diverse. C’è chi decide di transizionare e chi no. Tutt siamo ‘abbastanza trans’.
Al momento per essere trans devi chiedere l’autorizzazione e il giudizio di professionistə, che la maggior parte delle volte sembrano messə là per assicurarsi che la tua infrazione di genere non sia troppo esagerata, spudorata o visibile. In Italia puoi cambiare nome solo con uno che si accordi al sesso assegnato alla nascita. E se il nome non coincide hai bisogno di procurarti certificazioni psichiatriche e psicologiche che ti diagnostichino un disordine, prima classificato come mentale, adesso come disturbo dello sviluppo sessuale. Se non hai abbastanza soldi per pagare unə psicologə privatə, devi rivolgerti al sistema pubblico e tutto diventa molto più lungo, cisnormativo e binario. Non è previsto che tu voglia cambiare nome senza chiedere il permesso a unə medicə. Non è previsto che tu voglia cambiare nome senza fare prima un percorso di transizione ‘fisica’. Nel protocollo medico più utilizzato nei centri di transizione in Italia, anche a Torino, devi sopportare minimo 6 mesi di sedute psicologiche (e alcune psichiatriche a seconda dei posti) in cui dimostri che tu sei abbastanza trans per avere la loro autorizzazione a procedere. Quando lə specialistə ti avranno giudicato sufficientemente trans per i loro standard, avrai la diagnosi di disforia di genere. Con questa potrai iniziare un periodo di 12 mesi che viene chiamato “esperienza di vita reale”. Inizierai a prendere gli ormoni del sesso costruito socialmente come opposto, sempre costrett ad andare dallə psicologə a cui dimostrare di essere abbastanza trans. Alla fine di questi 12 mesi, portando i documenti a unu giudice, questu ti darà il permesso per cambiare nome e sesso legale (in maschio o femmina, non ci sono altre opzioni).
Nonostante la necessità di diagnosi, in realtà nel bugiardino dei farmaci utilizzati come ormoni non è segnata la disforia di genere. Questo significa che anche con l’autorizzazione del medico, dopo tutti quei mesi da psicologə, capita che in farmacia si rifiutino di darti il farmaco perchè è illegale dare testosterone a persone indicate come femmine. 
A fine settembre di quest’anno l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha firmato due determine che stabiliscono l’erogabilità delle terapie ormonali sostitutive a totale carico del Servizio sanitario nazionale. 
La notizia è stata accolta con grande entusiasmo da associazioni trans e LGBT. Se da un lato comprendiamo che queste determine possano rappresentare un miglioramento delle condizioni di accesso agli ormoni da parte di alcune persone trans, dall’altra pensiamo sia anche importante riconoscerne i limiti. Innanzitutto, si identificano come possibili prescrittor equipe di professionisti specializzati in identità di genere e per accedere alla gratuità ci vuole una diagnosi di disforia o incongruenza di genere: ancora una volta le persone trans vengono trattate da malate. Inoltre, le equipe specializzate non sono distribuite in modo uniforme sul territorio, e questo potrebbe causare disuguaglianze nell’accesso. Ancora, le due delibere parlano rispettivamente di «processo di virilizzazione di uomini transgender» e «di femminilizzazione di donne transgender». Questo rigido e anacronistico binarismo è transfobico proprio a partire dal linguaggio utilizzato, che esclude di fatto tutte le soggettività non binarie [binarism is for computer].
Anche se vuoi farti delle operazioni devi chiedere il permesso allə giudicə, dopo tutti questi mesi di psico-dimostrazione. La legge è a interpretazione dellə giudicə, che a volte nomina un CTU, perchè reputa necessari ulteriori accertamenti psicologici, come se 18 mesi non fossero già abbastanza. Questo protocollo non prevede l’esistenza di persone non maschi o non femmine. Le persone non binarie e queer sono forzate a non esistere. Non prevede neanche l’esistenza di percorsi diversi da quello standard. In alcuni tribunali non è previsto il cambio di nome e sesso legale senza prima la sterilizzazione. Secondo loro l’operazione ai genitali dovrebbe segnare la tua indissolubile convinzione di appartenenza al “sesso opposto”. Non puoi toglierti le tette senza prima farti crescere la barba, non puoi cambiare nome prima di aver assunto ormoni. E nel caso in cui tu non volessi seguire il loro protocollo, non puoi accedere alle operazioni. Le eccezioni e le sentenze esistono, ma sono appunto eccezioni rispetto al protocollo, e renderle tali contribuisce alla discriminazione per chiunque affronti un percorso “non standard”. Da minorenne non puoi operarti, devi aspettare i 18 anni. Da minorenne i tuoi genitori hanno il potere di decidere se farti iniziare un percorso di transizione o meno. Da bambin devi sperare che lə pediatra si sia informat sulla varianza di genere e conosca centri a cui indirizzarti.
Potrebbe sembrare assurdo ma se un giorno volessi aumentare il mio seno di 3 taglie, ci vorrebbe molto meno tempo e fatica rispetto a quanto ci vuole per poterlo rimpicciolire o eliminare. La libertà ad autodeterminarsi è limitata da quanto siamo normat, e normal, agli occhi altrui.
La patologizzazione delle identità non normate si riflette ovunque. In università esiste la carriera alias, cioè avere il proprio nome e non quello anagrafico sul libretto, prima che il giudice dia l’autorizzazione al cambio dei documenti. Ma anche questa al momento può essere richiesta solo se si ha l’autorizzazione di unə psicologə. Senza contare che è solo per studenti e studentesse.
Vogliamo essere trans e frocie, bisessuali, pansessuali, asessuali, demisessuali senza sentire il bisogno di nasconderlo perchè lə dottorə pensano che l’unico modo giusto per essere trans sia essere etero. Vogliamo essere trans e migranti, senza che questo precluda l’accesso ai servizi che scegliamo, se li scegliamo, per la nostra transizione. Vogliamo essere trans e avere un lavoro, con una legge che elimini le discriminazioni. Vogliamo essere trans e minorenni, senza che questo ci costringa ad attendere i 18 anni o l’autorizzazione di altru per autodeterminarci. Vogliamo essere uomini in gonna, donne con peli, persone non binarie truccate, persone queer che odiano truccarsi, senza che l’endocrinolog lo segni nella sua anamnesi come se fosse rilevante. Vogliamo essere trans e non binary, ovunque, senza dover chiedere scusa. Vogliamo essere trans e autisticə, senza che questo renda impossibile trovare psicoterapeutə competenti. Vogliamo essere trans e masturbarci, fare poco sesso, fare tanto sesso o non farlo per nulla, senza che importi qualcosa a chi deve darci l’autorizzazione. Vogliamo poter essere trans e confus e prenderci il nostro tempo per capire, senza che la nostra legittima confusione vi serva per forzarci ad essere cis. Vogliamo più tutele nella denuncia delle discriminazioni che subiamo dal sistema sanitario.
Nessun dovrebbe chiedermi se le persone non binarie esistano. O se sono ancora sicuro di essere non binario, soprattutto lə medicə a cui mi rivolgo per la transizione. Nessun dovrebbe chiamare la mia situazione “confusione di genere”, dirmi che prima o poi capirò di essere uomo o donna. Nessun dovrebbe prendere nota di come mi vesto, affermando la presenza di un problema medico se qualcun dice di essere uomo ma si veste da donna. Nessun dovrebbe porsi problemi sul mio orientamento sessuale.
Questa è transfobia di stato e ha una relazione diretta con la transfobia sociale, responsabile delle violenze e della morte di troppe persone trans. Facciamo che questo non sia solo un giorno di commemorazione delle vittime, rivendichiamoci la rabbia contro la violenza transfobica, non accontentiamoci delle briciole dello stato paternalista.
 
IO NON SONO LA QUANTITÀ DI PELI CHE HO 
IO NON SONO IL MIO TIMBRO DI VOCE 
IO NON SONO UN NOME SULLA CARTA DI IDENTITÀ 
IO NON SONO LA QUANTITÀ DI ORMONI CHE LO STATO VUOLE CHE ASSUMA 
IO NON SONO RAPPRESENTATə DAGLI STEREOTIPI DI GENERE E DAGLI STANDARD DI
BELLEZZA
IO NON SONO IL GENERE CHE PERCEPITE 
IO NON SONO PER FORZA DONNA O UOMO 
IO NON SONO UNA PATOLOGIA
VOGLIAMO ESSERE LIBER DI TRANSITARE TRA GENERI E CONFINI

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